Il Femminicidio in una guerra che il mondo maschile deve perdere

Il Generale Leia Organa detta la linea.

Dopo ogni femminicidio avviene un fenomeno laido: sui media la parola viene presa in ostaggio da una maggioranza di uomini. Sono spesso senescenti, accampano distinguo sul mondo maschile, rovesciano banalità e rigettano le parole del mondo delle donne. È successo anche dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin e un livore da lesa maestà è andato a colpire la sorella che, con forza, ha detto delle verità scomode sul patriarcato e sulla cultura dello stupro. Terminati i “minuti di silenzio” istituzionali e mentre si sente ancora l’eco contrapposta dei “minuti di rumore” dei movimenti femministi e studenteschi, la mia voce di maschio adulto etero e privilegiato vuole unirsi a questi ultimi.

Diciamolo pure: la cultura patriarcale iniziamo ad assaggiarla già nel biberon e continuiamo ad introiettarla appena apriamo gli occhi sul mondo. Una situazione di privilegio atavico che si riflette nei giochi per bambini, nei modelli televisivi e che, cresciuti, diventa pressione sociale e disparità salariali. Ci sono diverse intensità di attacco alle donne e ai soggetti non-binari, come una piramide, un iceberg di cui l’orrendo atto del femminicidio è l’emergente di punta. Comincia con un apprezzamento di troppo in strada, con una foto intima maschile non richiesta, cresce con la negazione maschile delle più elementari libertà nella coppia e la svalutazione emotiva. Non è violenza anche definirsi liberali e schierarsi contro un diritto acquisito come l’aborto? Succede adesso, come succedeva in passato: le lavoratrici delle campagne che ricevevano “attenzioni particolari” dagli agrari quanto sono simili a quelle di oggi che sul posto di lavoro ricevono battutine, palpeggiamenti o peggio?

Chi oggi, indipendentemente dall’appartenenza politica, dichiara che il problema non sussiste è un patetico imitatore di quei signorotti che per negare il voto alle donne affermavano che fosse a rischio l’intero sistema. E in un certo senso, hanno e avevano ragione: il sistema di dominio culturale, politico ed economico è sempre terrorizzato dalle spinte di cambiamento. Dopotutto, oggi, la cultura egemone, dopo decenni di lenti avanzamenti e lunghe lotte sociali, è tornata ad essere quella dei collezionisti di busti di un dittatore maschilista di prima categoria, dell’avanspettacolo con le donnine semi-nude, di un “tradizionalismo” che vuole rimettere le lancette della storia all’indietro.

Un femminicidio dopo l’altro, una manifestazione dopo l’altra, finalmente, si è però sedimentata una nuova consapevolezza che arma le coscienze di donne (e uomini) di diversa età, provenienza, estrazione sociale: il poetico bruciamo tutto del popolo femminista che ha fatto sobbalzare i benpensanti è invero la parola d’ordine per tutte e tutti quelli che non sopportano più questo sistema che si regge sull’ingiustizia a tutti i livelli. Arrivati a questo punto, a nulla serve illudere con i deliri securitari di nuove leggi speciali, con i minuti di silenzio o ancora con una educazione ministeriale all’affettività affidata a personaggi discutibili.

È in corso una guerra vecchia come il mondo, che vede le donne in prima linea per l’emancipazione e l’uguaglianza. Da uomo dico che è un conflitto che il mondo maschile deve perdere.

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